di Simon Larocca
07/03/2025
Come ormai sapete bene, trovo stimolante tenermi aggiornato sul rapporto esistente tra videogioco e società, in relazione alle ultime frontiere dell’intrattenimento. Di recente, alcuni studi hanno preso in esame la connessione che esiste tra Videogioco e Potenziamento Cognitivo, soprattutto nei bambini e nei preadolescenti.
Ho apprezzato l’assunto iniziale dell’articolo: i videogiochi “violenti” non sono il male, ma bisogna lavorare sugli strumenti educativi da fornire ai ragazzi per poter discernere la realtà dalla finzione.
La storia del Videogioco, inteso non soltanto come un mero passatempo, ma strumento socioculturale utile a relazionarsi meglio con gli altri oltre che con noi stessi, è stata spesso oggetto di critiche feroci. Benpensanti e leoni da tastiera ci sono sempre stati, oggi come allora, ma agli albori dell’intrattenimento videoludico domestico, la caccia alle streghe (nei riguardi di Resident Evil, Grand Theft Auto e persino il buon vecchio Super Mario) divampò con un numero imprecisato, ma elevato, di focolai in ogni media.
Uno degli scudi che da sempre è stato innalzato per difendere i nostri amati videogiochi consiste nella tesi che giocare permette un sostanziale e netto miglioramento della coordinazione mano-occhio, in soldoni il rapporto esistente tra la nostra capacità visiva e gli arti superiori. Chiunque di voi abbia mai giocato a Tapper o Bomb Jack o un qualsiasi roguelike moderno, Dead Cell su tutti, sa di cosa stiamo parlando.
Ma non basta. Il ruolo del videogioco all’interno della nostra società è cambiato moltissimo, negli ultimi tre decenni: sono lontani i tempi in cui veniva demonizzato aspramente, certo, tuttavia esistono sacche di resistenza, per usare un termine caro agli appassionati della serie Fallout, che non si rassegnano e continuano ad associare il videogioco a un qualcosa di negativo, uno specchietto per le allodole che distrae gli adolescenti allontanandoli da cose molto più importanti.
Eppure, le comunità on line, nate con l’avvento dei forum e dell’iconico ma insopportabile stridio del modem, aggregano immensi gruppi di persone di diverso sesso, nazione ed estrazione sociale nel nome dei videogiochi preferiti e delle tante diramazioni della cultura pop. Inoltre, è stato ampiamente dimostrato che le capacità cognitive, di problem solving e cooperazione subiscono un upgrade verso l’alto in chi gioca costantemente ai videogiochi: basti pensare ai molti titoli in co-op dove l’aspetto di supporto reciproco è vitale, per poter raggiungere l’obiettivo prefissato, come Among Us o il bellissimo It Takes Two.
Qui non si tratta di simulacri virtuali che aspirano a sostituire le pareti del reale, sia ben chiaro: quando spegniamo la console, il nostro cervello deve ricalibrarsi immediatamente su ciò che ci circonda, attivando tutti e cinque i sensi (sette se siete Cavalieri dello Zodiaco, ma il concetto è il medesimo).
Si parlava di potenziamento sociale, inizialmente, nell’ottica di un miglioramento da parte dei ragazzi nel costruire relazioni e, di conseguenza, avere una conoscenza più consapevole del proprio spettro emotivo: giocare a The Last of Us, per esempio, insegna il valore della redenzione e del riscatto in un mondo distopico affascinante e orribile, mentre Final Fantasy IX analizza la connessione ancestrale tra la domanda “esiste un’anima?” e le possibili risposte, scavate in profondità dentro di noi.
L’anno scorso, mi è capitato di vedere un video sui social in cui un professore spiegava agli studenti alcuni episodi storici relativi alla famosa battaglia delle Termopili: per farlo, utilizzava alcuni spezzoni di gameplay tratti da un videogioco della serie Assassin’s Creed: in questo modo, l’attenzione si focalizzava con molta più efficacia sull’argomento trattato. Un perfetto connubio tra strumento mediatico e programma educativo, non trovate?
I videogiochi possono fare molto bene, ma noi adulti in primis dobbiamo comprenderne il valore: solo così potremo trasmetterlo ai nostri figli.
Divertendoci e crescendo, insieme a loro.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
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