Ma i videogiochi sono roba da vecchi?

Ma i videogiochi sono roba da vecchi?

Nuovi record!

di Simon Larocca

22/01/2025

Le annose questioni, quelle che ciclicamente ritornano sulla bocca di tutti, addetti ai lavori e non. Martin finirà mai la sua saga fantasy? La trottola di Inception cade oppure no? I videogiochi fanno male ai nostri giovani? Ma soprattutto sono “roba da vecchi”?

Con il massimo rispetto, io credo che nel 2025 chiunque ritenga il Videogioco qualcosa di astruso, fuori tempo e dannoso per le giovani (e un po’ meno giovani) menti, sia un emerito salame. Essere portati a credere che i videogames siano robaccia per i vecchi nostalgici significa vivere con la testa sotto terra, inconsapevoli del fatto che le aziende dedicate smuove il fatturato dei settori collaterali: inoltre, la portata socio-culturale del Videogioco inteso come media per le masse, emblema della Cultura Pop nella sua accezione positiva e capace di guardare al futuro, è ormai assodata.

Ma facciamo un passo indietro e poniamoci la domanda regina, quella che i nostri genitori e zii bisbigliano durante le feste attorno al tavolo quando vedono i cuginetti e i cugini più grandi (spoiler: me!) sfidarsi a colpi di banane e meduse spara-inchiostro a Mario Kart: si può vivere, guadagnando soldi, soldi veri, grazie ai videogiochi? Lo so che pare assurdo, ma accade ancora, oggi come allora.

Recentemente, mi è capitato di leggere su alcuni siti e forum specializzati una sequela di botta e risposta tra utenti che lavorano nell’industria, anche coloro che reggono sulle proprie spalle operose start up con titoli indie in fase di sviluppo, e ho capito che c’è ancora tantissima disinformazione proprio tra coloro che si approcciano alla produzione e lo sviluppo di un videogioco, ancor prima dei nostri parenti un po’ su d’età. Può sembrare una contraddizione in termini, ma in un mondo così stratificato, dove la pubblicazione di un videogioco a tutti i costi assecondando tempistiche risicate diventa prioritaria confronto all’effettiva qualità e, soprattutto, completezza del gioco stesso (si veda il caso Cyberpunk 2077 tanto per fare un nome altisonante), va da sé che fare chiarezza diventa il primo, necessario passo per orientarsi in questo labirintico dungeon.

Basandoci su una fonte attendibile nel mercato odierno italiano come Randstad, nel 2023 si è stimato che uno sviluppatore di videogiochi guadagna all’anno 30.000 euro lordi. Certo, vi è una notevole differenza tra uno sviluppatore indie e un senior che lavora per aziende affermate a livello europeo per esempio, ma il dato è indicativo: si può vivere lavorando con i videogiochi, è un mestiere che non prevede un’età massima o minima, necessita di competenze molto precise che si possono acquisire attraverso programmi di studio e master specialistici. In parole povere, appartiene alla categoria delle professioni del futuro, accessibile sia al giovane laureando che al “vecchio” game designer esperto di arcade anni Ottanta, che in quegli anni fagocitava quotidianamente Pac Man e scagliava monetine da duecento lire come shuriken nelle gettoniere dei cabinati: oggigiorno entrambe le figure sono in grado di apportare le loro competenze all’industria.

Gli esempi sono tanti: pensiamo a Baldo: The Guardian Owls dei Naps Team, uno studio prettamente italiano approdato su Switch e non solo, oppure ancora la nostrana Milestone che domina il genere racing ben oltre i nostri confini da molti anni. E questa è solo una piccola parte di un mondo che non è più appannaggio di pochi nerd, sono lontani i tempi in cui videogioco era sinonimo di scantinati bui e polverosi pc 486 con scheda VGA spremuti come limoni per far girare l’ultima mod di Doom: i fatturati di Konami e From Software, per citare una colonna ormai conosciuta in tutto il mondo e il “nuovo” che avanza galoppando con la stessa fierezza dei suoi stalloni spettrali tradotti su schermo (Elden Ring sei tu?), la dicono lunga su quanto sia redditizio il mercato videoludico, di conseguenza figure di riferimento come sviluppatori, progettisti narrativi (narrative designer fa più figo, lo so, ma di questo si tratta), artisti degli effetti speciali, level designer e molti altri diventano imprescindibili.

Roba da vecchi? Direi tutt’altro: domanda e offerta viaggiano a braccetto con una tendenza in crescita che non si può ignorare, grazie al ricambio generazionale tra i consumers e la ricerca spasmodica del memorabilia, l’oggetto di culto che i collezionisti setacciano sui molteplici siti specializzati, tra cui la stessa The Games Market, piattaforma specializzata in un tale contesto settoriale.

È tutto oro quel che luccica? Ovviamente no, come potrete immaginare. La disinformazione su tutto ciò che è inerente ai videogiochi non è più ai livelli medievali degli anni immediatamente successivi al 1990, quando si innalzavano fiaccole e forconi sbraitando nei telegiornali contro la violenza di Doom e Carmageddon, responsabili di plagiare le menti dei ragazzi pronti a sparare alla gente e investire le vecchiette sulle strisce pedonali. Però c’è ancora molta strada da fare, a partire dalla nobilitazione di un mestiere, ancor prima di un media di consumo: troppo spesso gruppi di sviluppatori indipendenti si ritrovano a dover accontentarsi delle briciole per pubblicare i loro giochi, nonostante piattaforme come Steam abbiano di fatto sdoganato l’esclusività delle elite, permettendo anche a titoli minori di avere la propria fetta di mercato e guadagnare consensi, in attesa di platee più ampie e riflettori dalla luce più intensa.

Siamo solo all’inizio della nuova era nei videogiochi, ed è importante, se non fondamentale, che divulgazione e onestà da parte degli addetti ai lavori viaggino nella stessa direzione per far sì che, alla prossima cena di Natale, genitori e zii non chiedano più se si guadagna qualcosa lavorando nel settore dei videogiochi, ma che si uniscano alla community smanettando con il nuovo Super Mario.

Sviluppato proprio dal nipote seduto accanto, magari.

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Simon Larocca

Scrittore e socio di Retroedicola Video Club

Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.

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