di Simon Larocca
14/11/2024
Vi sarà capitato, negli ultimi tempi, di imbattervi in nuove terminologie durante le vostre peregrinazioni nell’etere, attraversando tutti i social moderni tra reel, contenuti e tiktoker dalle coreografie imbarazzanti. Cultura woke, inglesismi forzati e presunti guru dell’intrattenimento videoludico che additano questo o quel titolo di essere o non essere poco o troppo politicamente corretto, e questo è il problema.
Dal cinema alle serie tv proposte dalle più famose piattaforme streaming, dalla musica fino ad arrivare ai nostri amati videogiochi, la questione censura, mitigata sulla carta con una revisione pesante di tutti gli elementi presenti all’interno di un’opera narrativa, ha creato, per contrasto, un rigetto pressoché totale di qualsiasi elemento borderline, che è andato di pari passo con un altro fenomeno, ovvero l’implementazione di tutto ciò che fino a oggi era stato oggetto di discriminazione o satira, anche pesante, nel nome di un’inclusività che, però, ha spesso ottenuto effetti diametralmente opposti al, nobile e necessario, proposito iniziale.
Capolavori riconosciuti, innegabili, di storytelling oltre che di gameplay come The Last of Us 2 sono stati ampiamente criticati per la proposta di una coppia queer a tutti gli effetti, affermando quanto il focus su Ellie e Dina possa distogliere l’attenzione da tutto il resto: è ovviamente una cazzata gigantesca, ma se siamo arrivati a questo è perché la polarizzazione tra giusto e sbagliato, tra normale e strano, è diventata fin troppo preponderante.
C’è stato un tempo in cui la creatività non teneva conto di tutto questo, nel bene e nel male: pensiamo a Carmageddon, videogioco racing, si fa per dire, del 1997 dove i giocatori potevano, tra le altre modalità, guadagnare punti e vincere investendo la gente, e non intendo in borsa. All’epoca benpensanti e sedicenti esperti psicologi si scagliarono contro il videogioco, generalizzando come da prassi, e il suo essere così diseducativo, una demonizzazione che non prendeva in considerazione l’unica verità in tutto questo: si trattava di un videogioco, come è solo un film qualsiasi horror dove anche degli adolescenti possono finire malissimo in modi truculenti. Nella Divina Commedia, eh sì oggi scomodiamo anche i classici, Dante si ritrova in un girone infernale pieno di bambini non battezzati che soffrono le pene del posto in cui si trovano, eppure nessuno ha mai sollevato polemiche. Una provocazione? Forse, ma è anche un dato di fatto incontrovertibile.
Due pesi e due misure.
Leisure Suit Larry, saga ultradecennale su uno sfrontato e improbabile playboy, ostenta una narrazione fortemente sessista dove le donne vengono rappresentate con stereotipi lasciati alle spalle finalmente, almeno sulla carta, eppure il gioco in sé diverte e gli enigmi sono stimolanti.
Come fare?
Il politicamente corretto di certo non albergava nella mente dei creatori di Duck Hunt, il leggendario gioco incluso con il Nintendo Entertainment System distribuito in Italia con tanto di pistola Zapper: un titolo a uso e consumo anche dei bambini in cui l’utente si occupa di cacciagione, forse anche senza patentino chissà, sarebbe criticato e probabilmente Nintendo non lo lancerebbe mai oggi, adattandosi ai tempi moderni.
Con questo non si vuole dire che non debbano esserci paletti a determinati quantitativi di violenza eccessiva o rappresentazioni fuori scala di razzismo, intolleranza o l’orientamento sessuale, tuttavia la facoltà di poter raccontare una storia con tutto ciò che i narrative designers desiderano implementare, non dev’essere castrata alla radice, mai.
Il rischio, che ormai sta diventando una realtà grigia con cui fare i conti, è la tendenza a distruggere il processo di integrazione e l’inclusività, quella vera, ne paga il conto: ogni personaggio di colore che troveremo in un videogioco d’ora in poi “c’è perché è politicamente corretto”, ogni rappresentazione di relazioni o amori tra personaggi dello stesso sesso biologico “l’hanno messa perché è woke” e così via. Basta essere un minimo intelligenti e con del sale in zucca per capire che non è proprio così.
Un gioco al massacro che non fa bene a nessuno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
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