di Simon Larocca
10/01/2025
Se mi seguite da un po’ su queste pagine, saprete che uno dei punti chiave su cui mi piace premere spesso è la nobilitazione del media Videogioco, un processo lento ma fondamentale iniziato più o meno a partire dalla fine degli Anni Novanta. Paradossalmente, è stato proprio con l’avvento del dominio totale dell’intrattenimento domestico e la triste terminazione dei cabinati che i videogiochi hanno iniziato a essere qualcosa di più di meri omini sullo schermo che saltano e sparano.
Spesso il cinema, la televisione e la narrativa su carta vengono accostati allo status dell’Arte: opere audiovisive che trasmettono messaggi e attraverso il dialogo tra immagine e parole veicolano emozioni e generano reazioni nell’occhio dello spettatore: se il concetto di “arte” si riferisse essenzialmente solo a questo, allora anche il Videogioco inteso come veicolatore di input per il pubblico avrebbe tutto il diritto di avere il suo posto d’onore insieme a loro.
Ma facciamo un passo indietro. Che cosa significa fare arte oggi? Scomodo nientemeno che la Treccani e vi riporto cosa ci enuncia: per arte si intende «ogni capacità di agire o produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.»
Capacità di agire e attività umana che porti a dei risultati. Questi sono a mio avviso due pilastri imprescindibili dello stato dell’arte, perché riflettono quanto sia decisivo l’intelletto umano, e di conseguenza la sua capacità immaginifica, quella cosa meravigliosa chiamata creatività, e la scelta, o meglio la progettualità che ci sta dietro, la base solida per il successo, la consacrazione di un’Idea.
Pensiamo a The Last of Us, per esempio, oppure a Max Payne per andare un po’più indietro nel tempo, o ancora alla serie di Life is Strange: videogiochi dal fortissimo taglio narrativo, simili a film per tematiche e tempi di ripresa, inquadrature e plot twist, con trame adulte e profonde, disturbanti, sinonimi di pugni nello stomaco per il videogiocatore. Ed ecco la prima provocazione: cos’hanno di meno la parabola cruda e insieme salvifica di una Ellie, o la discesa nell’abisso dell’autodistruzione di Max con le sue pistole dispensatrici di vendetta, di un poema epico o un film premiato agli Oscar, se anche loro sono nati dalla scintilla creativa di uno o più esseri umani, che attraverso un complesso di regole (la realtà e i suoi parametri definibili) ed esperienze conoscitive (il bagaglio personale che leviga l’animo umano) e tecniche (conoscenza del linguaggio di programmazione e condivisione di competenze con sceneggiatori) materializzano qualcosa che prima non c’era e ci impatta con stimoli emozionali?
Vi è un confine molto sottile, come suggerisce il titolo, che separa il concetto di arte da quello del videogioco, sempre se di confine vogliamo parlare: io lo vedo come un filo rosso ancora piuttosto sbiadito, ma sempre meno con il passare degli anni, che unisce le due cose, invece che separarli. Sono trascorsi non più di pochi decenni, tuttavia molto è cambiato per fortuna nell’ambito videoludico e nella sua diffusione nel mondo, anche e soprattutto tra coloro che non hanno mai preso in mano un joypad: la consapevolezza del Videogioco non più inteso come strumento del diavolo è su larga scala ormai, per fortuna, e l’inclusività, termine abusatissimo in altri contesti, è una realtà splendida quando si tratta di videogiocare e condividere la passione per le storie su schermo, piccolo o grande che sia non ha importanza.
Perché per come la vedo io, si fa Arte nel momento stesso in cui dai forma a un magma di sensazioni e stimoli che ti cambiano, per un minuto, un anno o per tutta la vita: è la nostra capacità umana di immaginare e creare, che sia tramite una penna, una macchina fotografica, una cinepresa, un pennello o una tastiera, a rendere artistico il pensiero che si fa libro, film, quadro.
E anche videogioco. Nel momento in cui giochiamo noi stessi diventiamo parte di un qualcosa di infinito e tangibile nello stesso momento. Questa sì che è arte, credetemi.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
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