Prince of Persia

Prince of Persia

C'era una volta

di Mauro Corbetta

10/06/2024

Un regno lontano, una bella Principessa da salvare, un eroe senza nome. Il tutto in soli 60 minuti. Riscopriamo il capolavoro senza tempo di Jordan Machner, rigorosamente in versione MS-DOS.

Raccontarvi di Prince of Persia, per me è come scrivere di una macchia nella mia carriera di retrogamer. Ricordo nitidamente il mio primo contatto con il gioco di Machner: primi mesi freddi, tempaccio, e mi apprestavo a testare alcuni giochi scaricati di “comodo” dalla mia BBS di fiducia (una BBS o Bulletin Board System era la “rete” delle prime comunicazioni telematiche amatoriali). Già l’ambientazione arabeggiante mi lasciò perplesso, non proprio nelle mie corde, e quindi provai il gioco molto svogliatamente.

La copia scaricata inoltre aveva diversi problemi, dovetti imprecare per riuscire a farlo partire, e tutto quello che vidi fu la intro: di per sé mi aveva impressionato, benché molto breve: i personaggi si muovevano con un dinamismo notevole e molto naturale. Pensando che quello che stavo vedendo fosse una cinematica realizzata ad hoc, scartai il gioco, bollandolo come mediocre e non meritevole di attenzione.

Passò del tempo da allora, e Prince of Persia divenne un tormentone per le mie orecchie: se ne parlava ovunque, riviste, tra amici, nelle classifiche dei giochi sulle BBS. Sì, Prince of Persia mi aveva proprio fregato e dire che dalla Broderbund me lo sarei dovuto aspettare. La storia di questa software house – nata in uno dei tanti garage dove si creavano leggende – è caratterizzata da pochi titoli, tutti di notevole spessore, ma che richiedevano applicazione e di guardare oltre alle apparenze. Pensiamo ad esempio a Raid on Bungeling Bay, Wings of Fury, o Choplifter: di primo acchito sembrano tutti mezze tacche, ma basta iniziare a giocare che tirano fuori il loro cuore crudele… in un attimo partono quei meccanismi nel nostro cervello che ci impediscono di smettere. Feci ammenda, e complice la curiosità, andai in volata a prendere il gioco al negozietto di software sotto casa.

Il primo impatto è proprio la grafica: quella intro che mi ammaliò era fatta proprio con il motore grafico del gioco: un uso esemplare e semplicemente perfetto della tecnica di rotoscoping. Di questa tecnica specifica si è sempre parlato ampiamente – per chi non lo sapesse è un sistema usato in animazione per creare un cartone animato in cui le figure umane risultino realistiche, ricalcando un filmato precedentemente acquisito, in questo caso con il fratello di Machner mentre si prodigava in varie movenze – ma pochi hanno parlato dell’impatto che ne deriva a livello di gameplay.

Spesso bollato velocemente come “controllo difficile”, è molto di più: mentre normalmente avatar virtuale e joystick sono collegati in una ferrea simbiosi – “vado a destra e mi fermo” corrisponde a “destra e stop immediato”, salto e ricado e nel mentre posso muovermi – come se le leggi della fisica e il peso stesso dell’avatar non esistessero, in Prince of Persia non è così.

Come se dovessimo comandare una persona a parole: se gli ordiniamo di correre e poi fermarsi, questo per farlo impunterebbe i piedi e avanzerebbe ancora di qualche piccolo passo. Allo stesso modo il nostro Principe viene “strattonato” per tutto il gioco, e cerca di seguire realisticamente i nostri comandi. In parole povere, Prince of Persia è un elogio al Mito del Corpo.

Il legame che instaura con noi, nonostante non sappiamo niente di lui, neanche il suo nome, è qualcosa di meta-referenziale, ovvero il game designer ha "rotto" la barriera che separa il giocatore dal gioco. Basti pensare al romanzo apocrifo ispirato a questo gioco, opera dello scrittore russo Viktor Olegovič Pelevin, Il Principe del Gosplan, dove il protagonista narra della sua vita all'interno del videogioco, ovviamente non recepito come tale.

Il secondo aspetto che lascia basiti è la pochezza dell’interfaccia utente: abbiamo solo i tre triangolini che indicato la nostra energia vitale (mutuato dal primo gioco di Machner “Karateka”) e un timer che appare ogni 5 minuti di gioco, che ci comunica impietosamente quanto manca alla morte della principessa. Nient’altro.

Non ci sono indicazioni su dove andare, cosa fare, un inventario… niente di niente. Neanche un accompagnamento sonoro.

Solo il rumore dei nostri passi e poco altro. Infine c'è il mattonatissimo labirinto in cui ci troviamo. Lugubre, claustrofobico e pieno di trappole. Le prime ore di gioco sono spese a cercare di avanzare con cautela nelle varie stanze del gioco, provando di calibrare ogni salto e cercando una via per la fine del livello. Il tutto serve a rendersi conto che salvare la Principessa dalla sua triste sorte, in soli 60 minuti, non è solo difficile,  bensì disperato. Perché il nostro labirinto di mattoni non è lineare.

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Non è la strada che sembra suggerirci il gioco la più breve. Soprattutto non c'è una strada univoca, poiché a ben vedere, possiamo andare in ogni direzione, e presto ci rendiamo conto che non esiste neanche un sopra o un sotto, una destra o una sinistra: il labirinto di Prince of Persia è la perfetta trasposizione bidimensionale del labirinto di Escher. Un micidiale level design, che unito all’impietoso scorrere del tempo, la poca energia vitale e la vastità di questo dedalo, ci obbliga a correre ogni istante di gioco, cercando il passaggio più veloce. Ma non è solo questione di velocità e riflessi: serve materia grigia.

Ogni possibile percorso ha i suoi pro e contro: risparmio un minuto di gioco o faccio una deviazione per un’ampolla di energia? Rischio una serie di salti improbabili o rallento e affronto gli spuntoni? Considerando che non abbiamo ancora parlato dei duelli.

Già così sarebbe abbastanza, invece ci sono anche dei feroci saladini, che vanno affrontati a suon di spadate: quando ne incontriamo uno, il Principe sguaina la sua arma e il sistema di gioco cambia. Possiamo avanzare o arretrare, parare o tentare di colpire l’avversario. Se i primi combattimenti sono relativamente semplici, presto le cose di faranno ardue. Lunghi duelli di scherma risuonano per il labirinto, con il tempo che ci impone di attaccare, non c'è duello che non sia teso e frenetico.

Del gioco di Machner nel corso degli anni sono uscite varie versioni: le prime due, per Apple II e MS-DOS, sono sicuramente le migliori e rispecchiano fedelmente quello che voleva trasmettere il geniale autore: in seguito sono apparse la versione Amiga, fedele graficamente ma più lento, e poi versioni rifatte graficamente per le prime console a 16bit fino a oggi: non mi sento di consigliarle, l’inutile nuova veste grafica rovina solo l’esperienza di gioco e i controlli, anche se forti di più tasti, rendono solo meno appagante il perfetto sistema di controllo.

Concludendo, Prince of Persia è un gioco carico di suspence, il nostro semplice obiettivo di salvare l'amata Principessa è quanto mai disperato e drammatico.

Un’esperienza videoludica intensa e fuori dagli schemi, di sicuro non per tutti, ma chi si cimenterà troverà un gioco che lo impegnerà per molto, molto tempo, senza contare che per via della sua struttura non lineare, ogni nuovo “salvataggio” non è mai uguale al precedente.

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Mauro Corbetta

Fondatore di Retroedicola Videoludica Club

Mauro Corbetta, per gli amici Corby, classe ’77, ha nel sangue i videogiochi e l’informatica, il suo primo home computer è stato un glorioso C64, avuto in regalo a 8 anni. Negli anni ha accumulato una quantità impressionante di riviste del settore vantando una delle collezioni più imponenti, e ricercate, per quanto riguarda i videogiochi. Appassionato ed esperto di arcade e il cosiddetto "retrogame" in ogni sua forma, si propone, anche grazie all'associazione Retroedicola Videoludica Club da lui fondata in quel di Bergamo, di divulgare la cultura del videogioco, perché come dice sempre "imparando a giocare insieme lo si potrà fare per sempre".

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