di Simon Larocca
07/06/2024
L'avvento dei Puzzle Games creò non pochi scossoni all'ambiente videoludico del secolo scorso, costruito sui cadaveri alieni di Space Invaders e rinforzato dalle mura labirintiche di bunker infestati da nazisti più o meno umanoidi, come in Wolfenstein.
Giocando all'altalena sulla linea temporale che ha visto generi e sottogeneri avvicendarsi in una girandola di divertimento e sperimentazioni a colpi di pixel, non posso non ricordare uno dei giochi dal concept più semplice e allo stesso tempo più geniale mai prodotto.
Il 1982 fu un anno memorabile per il mondo degli arcade, perché vide la luce Q*bert! Questo straordinario puzzle game prende il nome dal suo originalissimo protagonista, una creatura oggettivamente impossibile da definire, dal naso simile a quello degli Snorkies (ve li ricordate, vero?) dalla forma tubolare e dal corpo che sembra uscito dalla penna aggraziata di un fumettista francese.
Il gioco è a schermata statica, con il nostro eroico imprecatore, e a breve vi spiegherò perché l'ho appena definito così, alle prese con una sorta di edificio isometrico alla Escher, che ricorda vagamente una piramide isometrica a tre colori.
La nostra missione, se decideremo di accettarla come suggeriva l'intro di una famosa serie televisiva e cinematografica, sarà quella di far saltare Q*bert sulle facce di ogni cubo che compone la piramide. Ogni livello varierà la difficoltà e la modalità con cui potremo terminarlo.
Ovviamente, l'esistenza di Q*bert non è facile, essendo funestata da mostri di ogni tipo che proveranno a fargli la pelle, portandolo a precipitare tragicamente dalla piramide e mettere fine alla sua impresa.
Iconico personaggio, intramontabile e adorabile allo stesso tempo, è conosciuto per il verso che emette ogni volta che muore, contestualmente all'apparizione su schermo di un fumetto dall'onomatopea riconoscibilissima da tutti gli appassionati.
Breve ma significativa incursione nel mio passato: da piccolo, in una sala giochi di quartiere dove campeggiava fieramente il cabinato, ero convinto che Q*bert mi mandasse a quel paese, né più né meno, per non essere stato in grado di fargli compiere il suo destino di gloria! Ma oggi mi piace pensare che fosse un modo simpatico dei programmatori per esorcizzare il leggendario senso di frustrazione che si prova nel non superare un livello molto ostico, di quelli che ci tengono bloccati per tanto tempo e rischiano di farci abbandonare il gioco.
Tutti noi videogiocatori, prima o poi, ci scontriamo con la nostra nemesi, il gioco impossibile che sembra volerci mettere a tutti i costi i bastoni tra le ruote: Q*bert sa essere impegnativo, nella migliore tradizione arcade, ma lo fa nei modi e tempi giusti, permettendo di godere del suo potenziale di divertimento senza schiaffeggiarti con il malumore derivato dal loop senza fine di morte e Game Over.
Pro
Concept originale che porta una ventata di freschezza al genere puzzle
Qbert è a dir poco adorabile e non puoi non amarlo
Carino e coccoloso, sì, ma difficile e stimolante
Contro
Progettazione del livello basilare e senza picchi particolari
Grafica minimale, anche per l'epoca in cui uscì
Comandi non propriamente immediati
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
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