Atari 2600 la rivoluzione

Atari 2600 la rivoluzione

Eroi del tempo

di Simon Larocca

21/12/2023

Quando si parla di Atari, soprattutto in ottica di Storia dei Videogiochi, la prima parola a cui pensiamo è quasi certamente Pong, il videogioco che nel 1972 definì di fatto lo standard per qualsiasi prodotto a tema videoludico che sarebbe venuto dopo, né più né meno.

In realtà, nonostante Pong e Atari vadano a braccetto come due innamorati che non possono fare a meno l'uno dell'altro, il valore della console di cui vi sto per parlare va ben oltre il gioco.

L'Atari 2600 uscì nel 1977 secondo le cronache, un anno importante per il videogioco così come lo conosciamo, fucina di idee e sperimentazioni che portarono il settore a spaziare su ogni genere, pur di attrarre le platee di ragazzini, e non solo, desiderosi di mettersi alla prova.

Bushnell, leggendario quanto controverso fondatore di Atari, produsse la console con la segreta speranza di cavalcare l'onda dei cabinati di Pong, attorno ai quali masse di giocatori si accalcavano ogni giorno pur di sfidarsi e segnare nuovi record da battere.

[Ted Dabney, Nolan Bushnell, Larry Emmons e Alan Alcorn]

[Ted Dabney, Nolan Bushnell, Larry Emmons e Alan Alcorn]

L'Atari 2600 accettò una sfida seminale per il futuro del videogioco domestico: è infatti grazie a lei che le console casalinghe iniziarono il loro processo di diffusione, forti del successo conseguito dalla primogenita di casa Atari.

In parole povere, dobbiamo ringraziare la vetusta madre di capolavori come Jungle Hunt e Adventure, immortali classici citati ancor oggi in moltissimi media, se abbiamo avuto la PlayStation e l'Xbox.

Perché dunque parlare di Rivoluzione? Se dovessi analizzare al microscopio il comparto grafico e tecnico della console, salterebbe subito all'occhio, il mio e il vostro, la visione avveniristica di chi progettò la macchina in questione, con il suo chip avanzato e le molteplici caratteristiche, sorprendenti per l'epoca.

Ma una console, come una cartuccia, altro non è che un oggetto, e per quanto possa essere avanzato dal punto di vista tecnologico, rimane una forma inerte se non è capace di trasmettere emozioni a coloro che la possiedono e interagiscono con lei mediante le periferiche sopracitate.

L'Atari 2600 si presentò al pubblico con una schiera di videogiochi che nulla avevano a che fare con quelli già usciti su cabinato prima di allora, insieme ai classici che i giocatori degli Anni Settanta avevano imparato ad amare, facendoli entrare nel loro quotidiano esattamente come il cibo che mangiavano a pranzo e a cena.

[Pubblicità ATARI 2600]

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Sì, perché la Rivoluzione dell'Atari 2600 passava anche da qui, dalla sua capacità quasi ipnotica di riempire le giornate dei ragazzi, tra un compito e l'altro, mentre il Sogno Americano riprendeva vitalità dopo le rotte di morte che gli States avevano tracciato in un luogo molto lontano da casa.

Trovo illuminanti le immagini tramandate dai documentari e telegiornali dell'epoca: se ci fate caso, nei servizi che parlavano dell'avvento di Pong e della console di Bushnell, la narrazione legata ai capannelli di ragazzi attorno al cabinato e le immagini patinate "rubate" dalle stanze dei nerd che acquistarono l'Atari 2600 racconta di persone esageratamente eccitate e con gli occhi strabuzzati davanti agli schermi.

Quasi come se il medium Videogioco fosse per definizione sinonimo di estraniamento dalla realtà e subdola forma di plagio delle menti dei giovani (ve lo giuro, è così che veniva visto e anche oggi qualcuno si ostina a puntare il dito).

La verità è ben altra. Atari connesse due mondi apparentemente molto distanti l'uno dall'altro, permettendo al videogioco di penetrare le mura domestiche in grande stile, per dare inizio alla vera Rivoluzione: portare il divertimento ovunque.

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Simon Larocca

Scrittore e socio di Retroedicola Video Club

Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.

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