di Simon Larocca
10/06/2024
L'universo dei videogiochi è un cielo stellato che possiamo ammirare ogni notte, appoggiati alla finestra dei ricordi come novelli Galilei e senza telescopio, o perlomeno io ne sono sprovvisto, ma con lo sguardo che sa arrivare lontano, attraverso i fiumi del tempo e dello spazio.
Spazio inteso non come immenso set per il seguito di Interstellar di Nolan, in questo caso, bensì come scaffale dove riporre le nostre amate console: molte sono state le macchine meravigliose della nostra infanzia che hanno cambiato le sorti del mondo videoludico nell'epoca in cui hanno visto la luce, a partire dallo Spectrum e il Commodore 64 fino ad arrivare alla Nintendo Switch, con la sua ibridazione perfettamente riuscita tra console portatile e domestica.
Parlare del Dreamcast e ragionare sulla sua storia a dir poco travagliata, tuttavia, non avrebbe senso senza chiamare in causa il suo carnefice, colei che ne decretò la fine senza pietà e che risponde al nome di Playstation, più precisamente la seconda versione di casa Sony, ma facciamo un po' di ordine.
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Qualche cenno storico: Dreamcast sbarcò in Europa agli sgoccioli degli Anni Novanta: correva il lontano 1999 e anche se in Giappone era presente già da un paio di anni, la nuova console della Sega dovette combattere non solo con la concorrenza agguerrita, ma anche con le difficoltà finanziarie che investirono e infine portarono alla chiusura la storica casa di produzione, perlomeno nelle vesti di come la conoscevamo allora.
Pochi titoli al lancio e in generale durante la sua vita sugli scaffali, azzerarono i risultati ottenuti con le vendite iniziali, molto più che incoraggianti, fino alla sua morte commerciale.
Shenmue e Soul Calibur sono solo due dei titoli stupendi che Dreamcast ha regalato ai suoi estimatori, e se consideriamo che fu la prima console ad avere un modem integrato per permettere il gioco in rete, è possibile farsi un'idea di quanto fu avveniristica in realtà, un vero e proprio sogno, anticipatore delle tendenze future, dove mondi online in continua evoluzione come Fortnite, League of Legends o Valorant vanno per la maggiore con la nuova giovane legione di giocatori.
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Indipendentemente dalla volontà dei suoi creatori, che ci hanno speso cuore, anima e sudore per darle la vita, la Dreamcast è ingiustamente diventata sinonimo di incompiuto, qualcosa che è stato messo in ombra da un gigante meglio pubblicizzato e costruito per vincere su tutti i fronti, il simbolo eterno del fallimento, senza infamia e con poche lodi.
Non è così.
Io credo che la Dreamcast sia degna non solo di essere riscoperta e goduta dai giocatori di allora come quelli di oggi, ma anche meritevole di essere collocata proprio lì, in quello spazio di cui parlavamo all'inizio, accanto alle macchine dei sogni, i nostri sogni, che ancora oggi vengono ricordate con affetto e, perché no, il rispetto che si deve a chi ha fatto scuola per le generazioni future che forse non le devono tutto ma le devono tanto, pur restando dietro il sipario.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
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