di Simon Larocca
05/01/2025
L’aura di leggenda che ammanta la regina delle console 8 bit, almeno per quanto mi riguarda, non ha mai accennato a diminuire nel corso del tempo. Fin dal 1991, anno in cui il NES, ossia Nintendo Entertainment System, appese figurativamente i joypad al chiodo per lasciare spazio al giovanissimo e irruento Super Nintendo nelle case degli adolescenti di tutto il mondo, la scatola grigiorossa delle meraviglie non ha mai smesso davvero di appassionare i fan.
Con l’avvento delle console di nuova generazione che si sono avvicendate nel corso dei decenni, il ritorno a un modo di giocare più arcade, che oggi volgarmente chiameremmo retro, è diventato sempre più impellente: oggi come allora, ai tempi del NES e della sua cavalcata indomabile tra gli scaffali dei negozi, la questione del region free infiamma forum e social, contribuendo ogni anno a generare discussioni e scambiarsi teorie, oltre che consigli.
Questo articolo non intende in alcun modo inneggiare all’attuazione di modifiche su hardware di proprietà intellettuali altrui, sia ben chiaro, ma si limiterà a raccontare qualche aneddoto relativo a una questione che, dal punto di vista strettamente videoludico e storico, riscuote un certo peso, per più motivi.
Region free: di cosa stiamo parlando?
In parole povere, all’interno della console vi era un blocco regionale che veniva impostato su un chip chiamato “CIC” facente parte di un sistema di protezione interno, non saprei definirlo in altro modo, la cui funzione era duplice: da una parte bloccare ogni tentativo di far girare cartucce non autentiche, così come avrebbe bloccato l’esecuzione di qualsiasi titolo non appartenente a quella determinata regione. Per comprendere meglio questo processo, di solito ricorro alla metafora della dogana: il NES, grazie a questo blocco, perquisisce ogni cartuccia in entrata, esaminandola da cima a fondo e approvandone l’ingresso, ovvero l’esecuzione, solo se rispetta il parametro regionale adeguato e si rivela, va da sé, originale. Se così non è, il titolo molto semplicemente non funziona e addio divertimento.
Sul retro delle confezioni dei videogiochi, e non mi riferisco solamente al NES, avrete di certo letto tutti quanti almeno una volta la scritta PAL, giusto? Questo perché, se siete in Italia e la console l’avete acquistata in uno dei negozi del nostro Paese, indica la regione di riferimento (NTSC per esempio è associato allo standard statunitense, ma non solo) e il medesimo gioco non funzionerà su console francesi, canadesi, ecc.
Queste sono le basi per chiunque si approccia a questa materia, se così vogliamo chiamarla: negli anni, sono fiorite modifiche e interventi atti a rendere il NES region free, appannaggio di collezionisti e appassionati dell’ultima ora (di seguito un interessante video che tratta il tema).
Con l’avvento delle console moderne, la questione è venuta meno, anche perché la standardizzazione dei formati ha quasi affossato il region free: il Videogioco è materia molto diversa oggi dai tempi del NES, si parla di globalizzazione, di internazionalità se vogliamo e le barriere che una volta erano prerogativa e salvaguardia delle grandi case videoludiche sono state abbattute.
Altri tempi, davvero, quelli in cui persino le riviste che trattavano videogiochi pubblicavano articoli sul modding, veri e propri tutorial (YouTube non sarebbe esistito per decenni) dove veniva spiegato per filo e per segno, o meglio per chip, come intervenire sulle console domestiche.
Oggigiorno, grazie al recupero di classici senza tempo e titoli mai usciti in Europa da parte di Nintendo con la sua Switch o le raccolte che invadono gli store e i negozi, sembra davvero molto lontana l’epoca in cui aprire una console e svelarne i segreti corrispondeva alla scoperta della Triforza, Zelda docet.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
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